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Come affrontare il rifiuto delle vaccinazioni. Scegliere tra coercizione e persuasione?

Negli ultimi anni il crescente rifiuto dei vaccini e il conseguente declino dell’immunità di gregge hanno contribuito al riaffiorare di numerosi focolai di malattie infettive, polarizzando la discussione tra sostenitori e oppositori dei vaccini.

L’avvento di Internet, un forum in cui accanto al flusso delle informazioni basate sull’evidenza scientifica coesistono e si sviluppano anche quelle di segno opposto, ha contribuito ad esacerbare la contrapposizione, che tuttavia ha radici storiche ben più profonde. In molti casi si tratta di una riproposizione di dilemmi passati, per fronteggiare i quali i decisori pubblici hanno di volta in volta oscillato tra l’uso di provvedimenti coercitivi ad approcci fondati sulla persuasione.

In un articolo recentemente pubblicato sul New England Journal of Medicine, James Colgrove del Department of Sociomedical Sciences presso la School of Public Health della Columbia University ha ripercorso le principali tappe di questo percorso, partendo dalle politiche con cui, agli inizi del secolo scorso, molti Stati introdussero negli Usa la vaccinazione obbligatoria contro il vaiolo, sia per bambini che adulti, con la previsione di sanzioni quali l’esclusione dalla scuola degli alunni non vaccinati, l’imposizione di multe o la quarantena per gli adulti che avessero rifiutato la vaccinazione. L’efficacia delle leggi fu presto dimostrata: nei territori in cui vigeva una simile giurisdizione si registrarono meno focolai rispetto agli altri. La costituzionalità di tale normativa venne inoltre confermata in numerosi pronunciamenti giurisdizionali culminati con quello della Corte Suprema nel 1905 (Jacobson v. Massachusetts).  

Il ricorso a misure coercitive, tuttavia – ricorda l’Autore – ha sempre sollevato perplessità perché interpretato come un’intrusione dello Stato nella sfera individuale della libertà delle persone, che comprime anche la possibilità di scelta dei genitori nell’educazione dei propri figli.

La persuasione divenne parte integrante delle politiche sanitarie a partire dal 1920, in corrispondenza con la comparsa e diffusione dei moderni mass-media e della pubblicità, quando gli operatori sanitari cominciarono a calibrare sulla base delle tecniche di questi settori emergenti i messaggi sull’importanza dell’immunizzazione contro difterite e pertosse. Tale pratica acquisì una razionalizzazione scientifica a metà del secolo, dopo la sviluppo del vaccino contro la poliomielite, quando sociologi, psicologi e altri scienziati sociali cominciarono a studiare analiticamente atteggiamenti, credenze, e contesti sociali correlati ai diversi orientamenti sulle vaccinazioni. Gli sforzi di questi studiosi conferirono empiricità agli studi sulle motivazioni per cui le persone accettassero o meno le vaccinazioni, per se stesse e i  loro figli, mettendo così a disposizione di policy maker e operatori sanitari strumenti utili per sviluppare approcci mirati ad aumentare la copertura vaccinale.

Il rifiuto delle vaccinazioni rappresenta un fenomeno eterogeneo in cui confluiscono una serie di atteggiamenti e credenze, tra cui non mancano la diffidenza verso i medici e la comunità scientifica e  l’opposizione alle istituzioni. La risonanza delle tesi anti-vacciniste nel discorso pubblico ha conosciuto tuttavia alti e bassi: ad epoche in cui tali teorie sono state marginalizzate si sono alternati periodi in cui è stato dato loro maggior riscontro. La nostra epoca – constata Colgrove – è una di queste.

Una migliore comprensione di queste motivazioni – prosegue l’Autore – è dunque un passaggio fondamentale per elaborare strategie e divulgare messaggi più efficaci sull’importanza imprescindibile delle vaccinazioni.

Molti ritengono invece necessario rafforzare le leggi che rendono obbligatorie le vaccinazioni circoscrivendo i casi in cui i genitori possono rifiutarsi di somministrarle ai loro figli,  fino a rendere più difficili le esenzioni, sull’esempio della California, il terzo Stato negli USA ad aver eliminato, nel 2015, la legittimazione delle motivazioni non scientifiche del rifiuto.

Indubbiamente una strategia persuasiva sarebbe eticamente e politicamente più accettabile – sostiene l’Autore – per quanto richieda molto più tempo e una maggiore intensità di lavoro. Persuasione e coercizione, tuttavia, sono da considerarsi come necessari e coessenziali. Nessuna strategia che puntasse solo sull’una o sull’altra si rivelerebbe infatti efficace. La fusione dei due approcci è dunque la sfida maggiore che attende i decisori pubblici sulle vaccinazioni, per bilanciare e far convergere efficacia, efficienza, etica e accettabilità politica devono essere tutte bilanciate in un’unica strategia.

Leggi l’articolo su NEJM


Pubblicato il: 26 ottobre 2016

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