Relazione tra stress, neurodegenerazione e invecchiamento precoce: da una revisione di studi, spunti per la ricerca di biomarcatori e lo sviluppo di nuovi trattamenti
 
 
 
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Relazione tra stress, neurodegenerazione e invecchiamento precoce: da una revisione di studi, spunti per la ricerca di biomarcatori e lo sviluppo di nuovi trattamenti

Il disturbo da stress post-traumatico (PTSD) è associato a un rischio elevato di un certo numero di malattie legate all'invecchiamento e alla neurodegenerazione. In una revisione di studi, i cui risultati sono stati pubblicati su “Nature Molecular Psychiatry”, M. Miller e N. Sadeh (Dipartimento di Psichiatria del National Center for PTSD, della Scuola universitaria di Medicina di Boston), passano in rassegna le evidenze che riguardano l'ipotesi che il PTSD cronico costituisca una forma di stress persistente che potenzia lo stress ossidativo (OXS) e accelera l'invecchiamento cellulare; forniscono una panoramica di studi empirici che hanno esaminato gli effetti dello stress psicologico sullo stress ossidativo; discutono le caratteristiche di perpetuazione dello stress post-traumatico e identificano i meccanismi attraverso cui il PTSD potrebbe favorire l’OXS e l’invecchiamento precoce. Gli studiosi inoltre esaminano gli studi sui geni correlati all’OXS e il ruolo che essi possono avere nel moderare gli effetti del PTSD sulla integrità neurale e concludono con una discussione sulle direzioni che la ricerca futura potrebbe intraprendere sui trattamenti antiossidanti e sui biomarcatori dell’invecchiamento precoce nel PTSD.

“Il disturbo da stress post-traumatico (PTSD) è una condizione grave e spesso invalidante che colpisce circa l’8% della popolazione generale, in un certo momento della vita – scrivono gli Autori – Circa un terzo delle persone che soffrono di un singolo episodio di PTSD sviluppano una forma cronica della malattia che, in molti casi, persiste per anni. La comorbilità è comune tra questi pazienti, che si presentano spesso con una complessa combinazione di comorbilità psichiatriche e mediche, tra cui il rischio accresciuto di varie patologie legate all'età, tra cui il diabete, le malattie cardiache, le sindromi somatiche funzionali come la fibromialgia, la sindrome da stanchezza cronica e la sindrome dell'intestino irritabile, i disturbi neurocognitivi e la demenza”.

In questo lavoro, i ricercatori suggeriscono che il PTSD cronico costituisca una forma di stress persistente e identificano i meccanismi attraverso i quali esso possa potenziare lo stress ossidativo (OXS) e accelerare l'invecchiamento cellulare. “Altre recensioni hanno affrontato argomenti correlati, tra cui il rapporto tra lo stress cronico e l’OXS nel cervello, il ruolo dell’OXS in altri disturbi psichiatrici e nelle malattie neurodegenerative (vedi studi da Hovatta et al., Li et al. Ed Palta et al.) e gli effetti dello stress psicologico in materia di invecchiamento. – scrivono Miller e Sadeh – Tuttavia nessuna revisione si è concentrata in particolare sul possibile collegamento tra PTSD e OXS e sul ruolo di quest’ultimo nella neurodegenerazione correlata al PTSD e nell’invecchiamento precoce”. Pertanto, gli obiettivi primari degli Autori erano (1) fornire una panoramica degli studi empirici sul rapporto tra stress psicologico e OXS, (2) avanzare ipotesi su come i sintomi di perpetuazione dello stress del PTSD cronico potrebbero favorire l’OXS e la neurodegenerazione, (3) riesaminare la ricerca sui moderatori genetici di queste associazioni e (4) indicare le direzioni per la ricerca futura.

“I recenti progressi nel campo della genetica molecolare – scrivono gli Autori – offrono nuove direzioni per la ricerca sui meccanismi di invecchiamento precoce e gli eventuali collegamenti al PTSD e all’OXS. I telomeri, sequenze nucleotidiche situate alle estremità dei cromatidi che si erodono con il normale invecchiamento come risultato delle ripetute replicazioni del DNA, offrono una potenziale misura di questo processo. L’accorciamento dei telomeri è accelerato dall’OXS attraverso i suoi effetti sulla telomerasi, un enzima che mantiene la lunghezza dei telomeri, mentre gli antiossidanti rallentano l'accorciamento dei telomeri e prolungano l'attività della telomerasi. Studi preliminari che collegano eventi avversi della vita e PTSD all'accorciamento dei telomeri, puntano sull’impego di questi ultimi nelle future ricerche per misurare l’invecchiamento nel PTSD. Ad esempio, un recente studio trasversale ha identificato una lunghezza relativa inferiore dei telomeri nei leucociti degli adulti con probabile PTSD rispetto ai gruppi di controllo di pari età”.

“La metilazione del DNA – aggiungono gli Autori – fornisce un ulteriore approccio. La metilazione del DNA è l'aggiunta di un gruppo metile alla citosina del DNA in regioni note come siti di sequenza C-fosfato-G (CpG), dove un nucleotide citosina si posiziona dopo un nucleotide guanina. La metilazione nella regione dei promotori dei geni provoca il silenziamento genico e quindi rappresenta un processo attraverso il quale viene regolata l'espressione genica. I livelli di metilazione generalmente diminuiscono con l'età, anche se alcune regioni mostrano effetti opposti. Questi processi sono influenzati dalla OXS tramite l'ossidazione della guanina nella sequenza CpG. Pertanto, come nel caso dei telomeri, lo stato della metilazione di certi loci genetici può essere utilizzato per l’indice di età cellulare e il tasso di invecchiamento cellulare. In uno studio di riferimento per lo sviluppo di un 'orologio epigenetico', Horvath ha analizzato i dati della metilazione in 8.000 campioni di 51 diversi tipi di tessuto e identificato 353 siti che insieme hanno offerto un predittore quasi perfetto di invecchiamento per i tessuti non tumorali. Futuri studi sull'ipotesi di invecchiamento precoce nel PTSD potranno trarre grandi vantaggi dalle intuizioni offerte da questo tipo di orologio epigenetico”.

“Per quanto riguarda l’ambito dei trattamenti, una direzione ovvia per la ricerca futura – scrivono gli Autori – è esplorare se i composti antiossidanti possono prevenire o rallentare i processi correlati all’OXS. Le evidenze a sostegno degli integratori antiossidanti provengono principalmente da (a) studi in vitro che hanno dimostrato l'efficacia antiossidante di vitamine A, C ed E, (b) studi di nutrizione epidemiologici che hanno mostrato i benefici per la salute delle diete ricche di antiossidanti (per esempio, nel ridurre il rischio per la malattia di Alzheimer) e (c) modelli murini che hanno evidenziato che gli integratori di antiossidanti riducono il danno mitocondriale legato all’OXS. Alcuni studi clinici hanno dato risultati positivi. Ad esempio, uno studio randomizzato su oltre 500 anziani con malattia di Alzheimer lieve o moderata ha scoperto che la vitamina E ha ridotto significativamente il tasso di declino funzionale e diminuito il carico dell’assistenza sanitaria nel corso di un periodo di follow-up di 2 anni rispetto al placebo. Purtroppo, la maggior parte degli studi clinici che coinvolgono terapie antiossidanti hanno mostrato pochi benefici o risultati inconcludenti”.

“Ci sono una serie di spiegazioni plausibili per il divario tra le promesse delle terapie antiossidanti e i risultati generalmente deludenti degli studi clinici (per una rassegna, vedi Firuzi et al.). Una spiegazione probabile è che non tutti i pazienti possono beneficare ugualmente dalla terapia antiossidante. Date le notevoli differenze genetiche individuali nella reattività all’OXS, approcci informati sotto il profilo farmacogenetico possono essere necessari per assegnare meglio i pazienti a specifiche terapie antiossidanti. Un'altra considerazione – aggiungono - è che la maggior parte degli antiossidanti studiati operano a livello generale con scarsa specificità di destinazione, mentre i danni OXS possono essere limitati a specifiche regioni del cervello, tipi di cellule o anche ad alcune membrane all'interno delle cellule. Un composto antiossidante che ha una destinazione più mirata è l’antiossidante SS31 che mira ai mitocondri, che ha dimostrato, in vitro, di proteggere i neuroni dalle neurotossine. Allo stesso modo, l-carnitina, che lavora come “spazzino” di radicali liberi, attraversa rapidamente la barriera emato-encefalica, e riduce i danni OXS nel tessuto cerebrale, migliora i risultati funzionali nei pazienti con disturbi dell'umore, disturbi neurometabolici e malattia di Alzheimer. Così, trattamenti e/o approcci farmacogenetici più mirati restano importanti indicazioni per i futuri studi di intervento”.

“Le evidenze che suggeriscono che il PTSD cronico costituisce una forma di stress persistente della vita che potenzia l’OXS e accelera l'invecchiamento cellulare – concludono gli Autori – sono indirette e non esistono studi che hanno stabilito un nesso di causalità tra PTSD e OXS, o dimostrato che il PTSD conferisca un rischio maggiore di OXS e invecchiamento precoce rispetto ad altre malattie mentali o condizioni legate allo stress. Inoltre, l’OXS è solo uno dei tanti meccanismi molecolari possibili per l’invecchiamento precoce, mentre ci sono altre vie indubbiamente coinvolte, quali quelle di segnalazione pro-infiammatoria che sono reciprocamente legate all’ OXS. Dato il ruolo apparentemente onnipresente dell’OXS nell’invecchiamento e nella malattia, non è sostenibile considerarlo come un meccanismo specifico dello stress o del PTSD. Piuttosto, è più appropriato vedere l’OXS come meccanismo molecolare della malattia e dell'invecchiamento comune a molte malattie, ma che può anche essere avviato o potenziato dallo stress traumatico, dal PTSD cronico e da patologie correlate. Come tale, esso rappresenta una via potenzialmente utile per la futura ricerca di biomarcatori correlati all’PTSD e lo sviluppo di trattamenti”.

Leggi la revisione su Nature Molecular Psychiatry


Published on: 26 September 2014

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