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Studio su JAMA Psychiatry: i farmaci antinfiammatori possono essere utili nel trattamento della depressione - Studio su JAMA Psychiatry: i farmaci antinfiammatori possono essere utili nel trattamento della depressione

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Studio su JAMA Psychiatry: i farmaci antinfiammatori possono essere utili nel trattamento della depressione

Da una nuova revisione sistematica e meta-analisi di studi clinici randomizzati pubblicata su JAMA Psychiatry e condotta da un team di ricercatori della Aarhus University in Danimarca e di altri istituti accademici danesi, statunitensi e canadesi, è emerso che alcuni trattamenti a base di farmaci antinfiammatori hanno effetti antidepressivi.

Gli scienziati hanno analizzato un totale di 14 studi internazionali pubblicati prima del 31 dicembre 2013 su PubMed, Cochrane Central Register of Controlled Trials, EMBASE, PsychINFO e Crinicaltrials.gov. In particolare, dieci di questi studi riguardavano l’uso di farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS), sia in monoterapia sia come trattamento aggiuntivo, e quattro gli inibitori delle citochine in monoterapia, per un totale di 6.262 pazienti coinvolti.

Gli obiettivi della revisione sistematica e meta-analisi sono stati sia lo studio degli effetti antidepressivi delle terapie antinfiammatorie sia la valutazione dei possibili effetti negativi di questi trattamenti in adulti affetti da depressione o con sintomi depressivi. Le indagini sull’uso concomitante di antidepressivi e agenti antinfiammatori sono oggi di grande interesse pubblico, poiché gli agenti antinfiammatori, in particolare i farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS), sono spesso utilizzati da pazienti trattati con antidepressivi, probabilmente a causa della relazione bidirezionale tra depressione e dolore.

L’analisi ha preso in esame tutte le evidenze emerse da studi clinici che hanno indagato l’eventuale azione migliorativa di trattamenti antinfiammatori sui sintomi depressivi, indipendentemente dal fatto che il trattamento antinfiammatorio fosse stato usato da solo o come terapia aggiuntiva. Gli effetti combinati stimati emersi dalla meta-analisi suggeriscono che i FANS riducono i sintomi depressivi rispetto al placebo. Questo effetto è stato osservato negli studi in cui erano coinvolti pazienti adulti affetti da depressione o con singoli sintomi depressivi. Una sottoanalisi ha evidenziato, in particolare, le proprietà antidepressive dell’inibitore selettivo della cicloossigenasi-2 (COX-2) celecoxib e degli inibitori delle citochine.

La conclusione della revisione suggerisce che il trattamento con antinfiammatori riduce i sintomi depressivi senza aumento del rischio di effetti avversi. Tra i sei studi che riportano gli effetti avversi non è stata trovata alcuna evidenza di un aumento del numero di eventi gastrointestinali o cardiovascolari dopo 6 settimane o infezioni dopo 12 settimane di trattamento con antinfiammatori rispetto al placebo. Tuttavia, l’elevato livello di eterogeneità dei campioni presi in esame, il tipo di depressione, la comorbilità somatica e il tipo di trattamento rendono la stima media non certa: secondo gli stessi ricercatori, i risultati dello studio dovrebbero essere interpretati con cautela.

Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) la depressione rappresenta  uno dei principali motivi di peggioramento della qualità della vita e nel 2020 sarà la più diffusa al mondo tra le malattie mentali e, in generale, la seconda malattia dopo le patologie cardiovascolari. Si tratta quindi di un disturbo molto grave, che spinge gli scienziati di tutto il mondo a ricercare costantemente nuovi trattamenti.  Negli ultimi anni diverse ricerche hanno avvalorato una correlazione tra depressione e malattie fisiche, quali condizioni dolorose o stati infiammatori nei singoli pazienti.

“La meta-analisi supporta questa correlazione e dimostra anche che i farmaci antinfiammatori, in combinazione con gli antidepressivi, possono avere un effetto sul trattamento della depressione. Quando combinati, questi farmaci danno un risultato importante che, a lungo termine, aumenta  la possibilità di poter fornire al singolo paziente opzioni di trattamento più personalizzate", ha affermato Ole Köhler, primo autore dell'articolo pubblicato su Jama Psychiatry e membro del gruppo di ricerca della Aarhus University.

Leggi l’articolo su JAMA Psychiatry


Published on: 04 November 2014

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