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L’associazione bendamustina più rituximab in pazienti con linfoma non-Hodgkin

I risultati di uno studio, pubblicato su “The Lancet”, dimostrano che l’associazione bendamustina più rituximab (B-R) in pazienti con linfoma non-Hodgkin indolente e mantellare raddoppia la sopravvivenza libera da progressione di malattia (PFS), rispetto al trattamento standard CHOP (ciclofosfamide, doxorubicina, vincristina, prednisone) più rituximab (CHOP-R).

Lo studio, di Fase III, prospettico, di non inferiorità, multicentrico e randomizzato in aperto, ha coinvolto pazienti di età pari o superiore a 18 anni con linfoma non-Hodgkin indolente e mantellare di nuova diagnosi, allo stadio III o IV. La PFS mediana dei pazienti trattati con B-R è stata di 69,5 mesi, contro 31,2 mesi di quelli trattati con CHOP-R. Il beneficio statisticamente significativo in termini di PFS è stato mantenuto nel gruppo B-R indipendentemente dall’età e in tutti i sottotipi di linfoma non-Hodgkin. Nei pazienti che hanno ricevuto B-R vi è stata minore mielosoppressione, con neutropenia grave verificatasi solo nel 29% dei soggetti, contro il 69% di quelli del gruppo CHOP-R. Con il regime B-R sono diminuite in maniera significativa anche le infezioni, che sono un effetto collaterale importante della chemioimmunoterapia, e non è stato riportato da nessuno dei pazienti del gruppo B-R l’effetto collaterale della caduta dei capelli, comunemente riconosciuto come effetto collaterale della terapia CHOP-R.

“Questi risultati rappresentano un significativo passo avanti nella terapia antitumorale per i pazienti con linfoma non-Hodgkin indolente e mantellare, che in passato hanno dovuto sopportare regimi chemioterapici particolarmente aggressivi e tossici”, ha affermato il professor Mathias J. Rummel, che è responsabile della Divisione di Ematologia della Clinica Universitaria di Giessen (Germania) e ha condotto lo studio.  

Bendamustina è attualmente commercializzata come trattamento in monoterapia per pazienti con linfoma non-Hodgkin indolente nei quali la malattia è progredita durante o entro 6 mesi dal trattamento con rituximab o con un regime che ha compreso rituximab.

Leggi l’articolo su “The Lancet”


Pubblicato il: 13 marzo 2013

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