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Immunoterapie per l'Alzheimer: stato dell'arte e prospettive
L’Agenzia Italiana del Farmaco nel suo ruolo di leader internazionale nelle strategie regolatorie per lo sviluppo di farmaci nelle Demenze è stata invitata a partecipare al CNS Summit 2014 che si è svolto di recente negli Stati Uniti. Di seguito un sunto di quanto è stato presentato dal Direttore Generale dell’AIFA.
La Malattia di Alzheimer (AD) è la più comune forma di demenza (60-70% dei casi) e costituisce uno dei maggiori problemi di salute pubblica, incidendo in modo rilevante sugli oneri globali delle malattie non trasmissibili. In questo momento si registrano circa 8 milioni di nuovi casi all'anno e gli studi epidemiologici suggeriscono che ci troviamo all'alba di una epidemia globale della patologia. Il numero di persone affette da varie forme di Demenza sembra destinato a raddoppiare ogni 20 anni per raggiungere, a livello mondiale, 75.6 milioni di casi nel 2030 e 135.5 milioni nel 2050. Anche se queste stime fossero in eccesso del doppio sarebbero comunque prevalenze altissime.
Nonostante gli sforzi condotti dalla ricerca, gli attuali trattamenti forniscono benefici sintomatici marginali e non sono efficaci nel prevenire o modificare la malattia. La progressione della patologia non è ben nota, ma si pensa sia almeno in parte e per alcune forme di AD collegate all'alterato metabolismo delle proteine β-amiloide e tau che si manifesta come accumulo di placche di β-amiloide e di grovigli neurofibrillari di tau (NFT) nel cervello.
Anche le cause dell’AD non sono ancora note. Circa l’1% delle forme familiari ad esordio precoce ha un’ereditarietà di tipo autosomico dominante dovuta alle mutazioni di tre geni principali, APP (Proteina Precursore dell’Amiloide), Presenilin 1 e 2 (PSEN1 e PSEN2). La maggior parte dei casi di AD a esordio tardivo ha invece una patogenesi multifattoriale, con una consistente componente genetica che contribuisce, insieme fattori metabolici, come la insulino-resistenza, e ambientali quali dieta e esercizio fisico alle manifestazioni fenotipiche della malattia. Lo studio delle forme a esordio precoce, sebbene rare, ha plasmato l'attuale comprensione della fisiopatologia e della storia naturale dell'AD, nonché lo sviluppo dei target terapeutici e la progettazione degli studi clinici. Rimane però da stabilire quanti dati che provengono dallo studio delle forme autosomiche dominanti possono essere estrapolati alle forme sporadiche.
Uno degli approcci terapeutici attualmente in valutazione consiste nella rimozione di frammenti del peptide beta-amiloide (Aß) dal cervello mediante l'utilizzo di anticorpi anti-Aß. L'immunoterapia Aß si sta rivelando una strategia di trattamento potenzialmente promettente sulla base della neuropatologia umana e degli studi preclinici. Nella vaccinazione attiva contro Aβ42, i pazienti ricevono iniezioni dello stesso antigene, nella vaccinazione passiva i pazienti si utilizzano anticorpi monoclonali (mAb) contro varie porzioni dei peptidi β-amiliodi (solubili, depositati, oligomerici).
L'immunizzazione attiva e l'immunizzazione passiva contro la proteina beta-amiloide in modelli di topi transgenici hanno determinato un aumento della clearance dei depositi di placche amiloidi e il miglioramento delle prestazioni cognitive, mentre il brain imaging e gli studi neuropatologici suggeriscono che l'immunoterapia attiva e passiva anti-Aβ potrebbe, forse, ridurre la quantità di β-amiloide depositata in placche o solubile nel cervello dei malati di AD.
L'AN1792 è stato il primo prodotto di immunoterapia attiva per l'AD che utilizzava un frammento di aminoacido (Aβ42) come immunogeno; tuttavia, uno studio di fase II del vaccino anti-amiloide è stato interrotto per la comparsa di meningoencefalite in un piccolo sottogruppo di pazienti. Nonostante questa battuta d'arresto, il follow-up a lungo termine dei pazienti immunizzati con AN1792 ha mostrato una riduzione del declino funzionale nei pazienti responder all'anticorpo, sostenendo l'ipotesi che l'immunoterapia Aβ potesse avere benefici funzionali a lungo termine. A questo proposito, sono in fase di sviluppo nuovi immunogeni con sequenze peptidiche più brevi che possono evitare risposte autoimmuni all'Aβ42.
Tra gli immunoterapici passivi, sono stati deludenti i risultati di due studi clinici di fase III di grandi dimensioni in pazienti con AD di gravità lieve e moderata che hanno impiegato bapineuzumab, un anticorpo monoclonale umanizzato mirato alla sequenza N-terminale di Aβ: l'effetto terapeutico desiderato non è stato raggiunto.
Anche solanezumab, (anticorpo monoclonale sviluppato contro le forme monomeriche solubili di Aß e diretto alla regione media di Aβ), non ha raggiunto gli endpoint primari in due studi di fase III in pazienti con AD di gravità lieve e moderata. È attualmente in corso un altro studio di fase III con solanezumab in pazienti con AD lieve sulla base dei risultati incoraggianti riscontrati nell’analisi statistica di questo sottogruppo.
Altri approcci più recenti, come la co-somministrazione sistemica di cliochinolo e vaccini Aβ42, riducono in modo significativo la presenza di depositi Aβ nel cervello di topi transgenici con AD. Nei modelli non-roditori, un rapido miglioramento della disfunzione cognitiva nel cane con immunoterapia amiloide suggerirebbe l'importanza nell'uso del modello canino per testare i vaccini per l'AD.
La cosiddetta "mutazione artica" comporta la formazione di protofibrille solubili di Aß, un tipo di Aß che si è rivelato neurotossico (più delle fibrille insolubili) e che sembra presente in tutti i casi di AD. Un anticorpo monoclonale, mAb158, è stato sviluppato per raggiungere le protofibrille di Aß con elevata selettività (almeno 1.000 volte più elevata per le protofibrille rispetto ai monomeri di Aß). Una versione umanizzata dell'anticorpo mAb158, BAN2401, è ormai in corso di sperimentazione clinica di fase 2b senza che si siano verificati per il momento gravi problemi di sicurezza nei trial clinici precedenti di fase 1 e 2bis. Esperienze dal campo indicano l'importanza di iniziare precocemente il trattamento nel corso della malattia e di arricchire la popolazione degli studi migliorando l'accuratezza diagnostica. Infatti, nello studio in corso viene utilizzata la PET dell'amiloide per arricchire la popolazione dei pazienti in una fase precoce (come da noi suggerito, oltre tre anni or sono, nel lavoro Qualification opinion of novel methodologies in the predementia stage of Alzheimer’s disease: Cerebrospinal-fluid related biomarkers for drugs affecting amyloid burden – Regulatory considerations by European Medicines Agency focusing in improving benefit/risk in regulatory trials - European Neuropsychopharmacology (2011) 21, 781–788). BAN2401 è un candidato promettente per l'immunoterapia Aß nella fase precoce dell'AD. Altri sforzi incoraggianti sull'immunoterapia, nonché nel campo delle piccole molecole offrono una cauta speranza che terapie davvero innovative possano arrivare per la AD in futuro.
La seconda generazione di vaccini attivi Aß (CAD106, ACC-001, e Affitope AD02) e le nuove immunoterapie passive anti-Aß (gantenerumab e crenezumab) sono state sviluppate e sono in fase di sperimentazione clinica (CAD106, ACC-001, e Affitope AD02 sono in fase 2). Gantenerumab e crenezumab sono in fase di sperimentazione in studi clinici che arruolano pazienti con AD lieve e soggetti cosiddetti prodromici con alterazioni cognitive iniziali. Inoltre Gantenerumab e Solanezumab sono in studio anche in pazienti preclinici con mutazioni autosomiche dominanti da AD, ma senza sintomi cognitivi.
Finora, i limiti maggiori dell'immunizzazione Aβ includono lo sviluppo di encefalite, il mancato miglioramento clinico e l'assenza di effetto sui grovigli neurofibrillari (NFTs) che è un'altra caratteristica neuropatologica importante dell'AD. Altri punti critici riguardano la progettazione degli studi e diverse variabili essenziali per ottimizzare i disegni dei trial e migliorare le condizioni dei partecipanti.
A causa del ruolo centrale degli NFTs nella demenza, l'immunoterapia che mira a tali aggregati di proteine Tau è un'area importante della ricerca. In particolare, l'immunoterapia attiva che mira all'epitopo phospho-Ser422 è risultata efficiente, con conseguente clearance della proteina Tau e miglioramento dei deficit cognitivi causati dalla patologia correlata alla proteina Tau in un ben definito modello transgenico. Come per gli oligomeri Aβ, il ruolo presunto degli oligomeri dei filamenti Tau nella fisiopatologia dell'AD ha portato a indagarli come potenziali bersagli di immunoterapia per l'AD e per le patologie correlate alla proteina Tau. Nel loro insieme, questi risultati suggeriscono che le immunoterapie che mirano soltanto all'Aβ possono non essere sufficienti per modificare la malattia. A tal fine, i ricercatori hanno anche cominciato a verificare se l'immunoglobulina endovenosa (IVIG) possa essere utilizzata come una strategia immunoterapica alternativa.
IVIG è una miscela di anticorpi umani naturali (immunoglobuline G) derivati dal plasma di volontari sani giovani. In particolare, IVIG è stato utilizzato per quasi mezzo secolo per deficienze immunitarie umorali primarie e sindromi autoimmuni e, più recentemente, per una serie di disturbi neurologici come la poliradicoloneuropatia infiammatoria demielinizzante cronica e la sindrome di Guillain-Barré. Il razionale per l'utilizzo di IVIG per il trattamento dell'AD si fonda su una serie di ragioni. Si è visto che IVIG presenta elevati livelli di anticorpi contro diverse conformazioni di monomeri e aggregati Aβ, ma il suo repertorio di anticorpi naturali potrebbe anche essere utilizzato per normalizzare la componente infiammatoria dell'AD. Il profilo di sicurezza di IVIG per altre malattie ha anche mitigato le preoccupazioni per la sperimentazione clinica sull'AD. Tuttavia, nonostante la promessa iniziale degli studi clinici di Fase 1 e 2 condotti in Germania e negli Stati Uniti, un recente studio multicentrico di fase 3 in doppio cieco su 390 soggetti, chiamato Gammaglobulin Alzheimer’s Partnership (GAP), non ha soddisfatto gli endpoint primari del rallentamento cognitivo e del declino funzionale. I risultati dello studio GAP supporterebbero il profilo di sicurezza positivo di IVIG e hanno mostrato potenziali effetti benefici per sottogruppi pre-specificati con AD moderata e con vettore apoE4. In concomitanza con questi studi clinici, diverse sperimentazioni precliniche hanno dimostrato che IVIG è neuroprotettivo contro la tossicità Aβ in vitro e migliora la clearance di Aβ ex vivo mediata da microglia, mentre la somministrazione in vivo di IVIG riduce l'infiammazione in topi transgenici AD. Il meccanismo d’azione di IVIG è tuttora di grande interesse e rimane da verificare la misura in cui dosi ottimizzate di IVIG fornite con sufficiente anticipo nella traiettoria della patologia potrebbero rivelarsi utili per modificare la progressione della malattia, quando ancora possiamo farlo.
Luca Pani
Fonti:
Published on: 03 December 2014