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Il Direttore Generale dell'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), Luca Pani, a Superquark - Il Direttore Generale dell'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), Luca Pani, a Superquark

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Il Direttore Generale dell'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), Luca Pani, a Superquark

Ricerca farmacologica, corretto uso dei farmaci, farmacovigilanza e molto altro. Sono questi alcuni dei temi affrontati dal Direttore Generale dell’AIFA, Luca Pani, nel corso di una intervista rilasciata a Superquark.

Dall’analisi dei dati dell’Osservatorio sull’impiego dei medicinali (OsMed) dell’AIFA, è scaturita un’intervista a tutto campo su temi quali la medicina personalizzata, gli effetti collaterali dei farmaci, il consumo di antibiotici, lo stato della ricerca farmacologica sulle malattie legate all’invecchiamento.

Sappiamo da tempo che c’è una nuova tendenza nella ricerca farmacologica che, partendo dal concetto che tutti siamo diversi, che abbiamo una diversa carta d’identità biologica, dallo studio del DNA individua delle particolari caratteristiche suscettibili di essere aggredite meglio da un farmaco. A che punto è questa ricerca?

Quello di cui parla è il concetto di “biomarcatore”: dall’analisi di frammenti di DNA siamo in grado di stabilire se una persona risponde o meno a un determinato farmaco. La ricerca però è andata avanti, ci sono dei farmaci che sono stati tagliati come un vestito esattamente per persone con certe caratteristiche. Siamo a buon punto, ma forse non quanto avremmo voluto.

Sappiamo che i farmaci sono utili, ma che hanno anche tanti effetti collaterali. Ed è poco noto che gli effetti collaterali dei farmaci rappresentano la quarta o quinta causa di morte. Occorre quindi attenzione a come e a quando si usano?

Certamente. Se ne occupa la “farmacovigilanza”, che tra l’altro adesso è stata potenziata moltissimo attraverso un crescente coinvolgimento dei pazienti oltre che delle aziende e dei medici. Quindi è importante che quando si prende un farmaco lo si prenda per delle motivazioni reali, rispettando il foglietto illustrativo e per i tempi e nei modi corretti.

La diffusa tendenza del “fai da te” è pericolosa.

Assolutamente sì. È fondamentale rivolgersi sempre al medico e seguire in maniera precisa le indicazioni.

L’influenza è così diffusa e frequente. In molti si chiedono: possibile che con tutti questi progressi della medicina, un male così apparentemente banale non si riesce a curare efficacemente?

Anzitutto bisogna dire che l’influenza non è banale. Ricordiamo che la “spagnola” uccise 17 milioni di persone in un lasso di tempo rapidissimo. L’influenza può sembrare apparentemente banale per i sintomi, ma non lo è. Comunque i due farmaci più importanti per l’influenza sono in realtà due non farmaci: uno è la vaccinazione, che in realtà non è tecnicamente un farmaco perché il vaccino si fa nel momento in cui non sei ancora malato; l’altro, che alcuni medici illuminati prescrivono, è il riposo. Il riposo è il più efficace farmaco per l’influenza.

Dormire fa meglio di tanti farmaci che vengono presi magari a sproposito, perché poi affaticano la persona malata.

Sì, anche se in questa società “iper-performante” c’è la necessità di prendere un anti-influenzale e andare a lavorare o a scuola quando bisognerebbe restare a letto.

C’è in fondo anche una “cultura del farmaco” per rimanere in buona salute. Bisogna sapere come usare e, a volte, quando non usare un farmaco, ma si devono fare anche molte altre cose…

Nel nostro immaginario l’ideale sarebbe che al farmaco i cittadini affiancassero stili di vita sani: camminare, stare attenti all’alimentazione, dedicare tempo alle attività ricreative. E poi utilizzare i farmaci quando serve e in modo corretto.

Le campagne di comunicazione sull’uso dei farmaci – anche attraverso i mezzi d’informazione–hanno contribuito a una notevole riduzione del consumo dei farmaci, in particolare degli antibiotici.

Sì, abbiamo lanciato la campagna sull’uso appropriato degli antibiotici e l’abbiamo ripresa molte volte sotto l’egida del Ministero della Salute. Gli antibiotici sono un caso classico di farmaci assolutamente efficaci, assolutamente necessari, che devono essere utilizzati soltanto quando servono. Le campagna hanno portato a un risparmio di spesa ma soprattutto a un guadagno in termini di lotta ai batteri.

Soprattutto bisogna non usare gli antibiotici quando la malattia ha una base virale…

Sì, quindi nel 95% dei casi.

Oggi c’è la tendenza a curarsi con medicinali naturali. In certi casi, come ad esempio nell’omeopatia, dopo una lunga serie di riduzioni, questi prodotti non contengono più il principio attivo. Ma se una persona è veramente malata cosa succede?

È necessario che il medico a cui si rivolge sia perfettamente consapevole del fatto che quel disturbo sta durando oltre il tempo ragionevole in cui si curerebbe da solo. E sarà necessario che alcuni dei sintomi o delle complicanze portino a degli accertamenti più approfonditi.

Si assiste a un invecchiamento rapido della popolazione, specialmente in Italia. Ciò significa anche uno spostamento degli obiettivi farmacologici verso quelle malattie che sono tipiche dell’invecchiamento?

In tutto il mondo occidentale l’innalzamento dell’età media della popolazione sta imponendo all’attenzione una serie di malattie proprie dell’invecchiamento. Tra queste, tutti parlano dell’Alzheimer, ma in realtà le demenze tipo Alzheimer e i disturbi cognitivi sono la vera nuova frontiera. Su queste patologie si sta orientano la ricerca.

Anche perché a risentirne non è solo l’individuo che è colpito dalla malattia, ma anche la famiglia…

Da un punto di vista emotivo il carico di un malato di Alzheimer è altissimo perché l’assistenza è continua, il deterioramento in alcuni momenti è progressivo, e vedere il proprio caro che sta andando verso la disgregazione della personalità, della memoria, dell’affettività è, da un punto di vista umano, veramente drammatico.

Diciamo che, non solo da un punto di vista sanitario, ma anche sociale la soluzione o almeno l’attenuazione di questi sintomi diventa una priorità.

Sì, lo è. Ci sono due categorie di farmaci in sviluppo. Quelli che tendono a fermare la malattia, cioè a congelarla in una fase precoce ancora tollerabile, e gli altri, che sono in una fase più avanzata, e sono i cosiddetti “modificatori della malattia”: per esempio gli anticorpi monoclonali. Attualmente ce ne sono almeno tre in fase di sviluppo.

Ma si vede la luce in fondo al tunnel?

Una fiammella, perché il problema principale sarà quanto dura la risposta, cioè quanto tempo siamo in grado di congelare la malattia e cosa succede quando questa risposta non dovesse più esserci.

Video dell'intervista


Pubblicato il: 12 agosto 2013

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