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“Taglia e incolla molecolare”: dall’editing genetico nuove speranze di cura? (II parte) - “Taglia e incolla molecolare”: dall’editing genetico nuove speranze di cura? (II parte)

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“Taglia e incolla molecolare”: dall’editing genetico nuove speranze di cura? (II parte)

I progressi nelle terapie geniche per l’infezione da HIV

I ricercatori di tutto il mondo stanno lavorando con entusiasmo e grandi aspettative alle frontiere dell’ingegneria genetica applicata alla medicina. Un campo relativamente nuovo, quello della cosiddetta “chirurgia genetica”, dalle prospettive ancora tutte da esplorare. A suscitare nuove speranze, come già specificato in un nostro precedente editoriale con particolare rifermento alla ricerca sull’anemia falciforme, la scoperta di nuove modalità di editing genetico, che si avvalgono di particolari sequenze di DNA, dette CRISPR, il cui potenziale di modifica è stato scoperto di recente e ha dato già segnali positivi in sperimentazioni su animali adulti. I vantaggi di CRISPR sulle tecnologie disponibili sono evidenti. Rispetto alla terapia genica tradizionale, che prevede l’aggiunta di una copia funzionante del gene, i CRISPR consentono di correggere più a fondo il difetto genetico agendo direttamente sulla mutazione e non lasciando traccia del gene alterato. Il nuovo gene, trovandosi nella sua posizione naturale all’interno del genoma, sarà quindi soggetto ai controlli fisiologici della cellula.

L’editing genico promette risultati importanti anche per la cura dell’HIV[1]. Il primo caso di terapia HIV era già, in sostanza, una forma di terapia genica. Nel 2007, una coraggiosa paziente fu curata sia per la leucemia mieloide acuta che per l’infezione da HIV con un trapianto di midollo osseo da un donatore che era omozigote per la delezione del gene CCR5, il principale co-recettore cellulare utilizzato dal virus HIV per infettare le cellule T CD4. Con il trapianto, la paziente ricevette un sistema immunitario che era impenetrabile alla variante più comune dell’HIV che utilizza il gene CCR5 per entrare nelle cellule, il virus R5-tropico.

Questo caso generò un enorme interesse negli approcci di terapia genica per la cura dell'HIV, che impediscono l’espressione di CCR5. Uno dei metodi più promettenti per raggiungere questo obiettivo è l'uso di ZFN, nucleasi ingegnerizzate che colpiscono e tagliano sequenze specifiche di DNA cellulare mediante un sistema di consegna con vettore adenovirale.

Alcuni ceppi di HIV evoluti utilizzano però un co-recettore cellulare diverso, CXCR4. Questi virus X4-tropici si trasmettono raramente ma si sviluppano all'interno di un individuo infetto nel corso del tempo e sono associati a una prognosi peggiore e a una rapida progressione della malattia.        
Si teme che l'uso di ZFN che inattivano il CCR5 (ZFN R5) porti alla selezione di ceppi di HIV X4-tropico. In tal caso, le ZFN R5 non potrebbero essere utilizzate in individui con tropismo duplice/misto, circa la metà dei malati di AIDS. ZFN specifiche per il CXCR4 (ZFN X4) sono state sviluppate ma non era precedentemente chiaro se potessero essere utilizzate con successo in combinazione con le ZFN R5. Proteggere una cellula sia dal virus R5 che dal virus X4 richiederebbe la modifica simultanea di 4 alleli. In un recente studio, pubblicato su Blood, Didigu e colleghi forniscono prove convincenti che il trattamento con ZFN duali raggiunga lo scopo, distruggendo insieme il CCR5 e il CXCR4 all'interno della stessa cellula. Gli effetti funzionali del trattamento con ZFN duali sono stati ulteriormente indagati, con esito positivo, in un modello di topo umanizzato infettato con HIV.

Un approccio di terapia genica che include l'uso di una ZFN R5 è risultato sicuro e tollerabile in uno studio clinico di fase 2, ma non è stato efficace nel ridurre i livelli plasmatici del virus HIV. Un aspetto problematico è stato l’attecchimento basso e solo transitorio delle cellule geneticamente modificate. Il superamento di questo limite sembra tuttavia probabile grazie ai costanti avanzamenti della tecnologia. Una questione più complessa è che sembra necessaria una replicazione incontrollata dell’HIV per selezionare cellule geneticamente modificate. Interrompere la terapia antiretrovirale in individui infettati dall'HIV può essere difficile da giustificare data la crescente evidenza che i ritardi e le interruzioni nella terapia portano a complicazioni cliniche.

Infine, recenti scoperte suggeriscono che la terapia genica potrebbe non essere necessaria per curare l'HIV nel contesto del trapianto di cellule staminali allogeniche. Mantenere la terapia antiretrovirale durante il trapianto potrebbe essere sufficiente per proteggere le cellule donatrici dal contrarre l'HIV. Parallelamente, le cellule ematopoietiche del donatore dovrebbero sostituire tutte le cellule ospiti ematopoietiche nel tempo a causa dell’effetto allogenico o “trapianto contro l’ospite” (“graft-versus-host”), che dovrebbe eradicare in modo non specifico i serbatoi virali.

Evidenze a supporto di queste ipotesi sono state fornite da Henrich e colleghi, che hanno identificato 2 individui affetti da HIV che avevano ricevuto trapianti di cellule staminali allogeniche CCR5 wild-type, pur mantenendo la terapia antiretrovirale. Diversi anni dopo il trapianto, i ricercatori non hanno rilevato l'HIV nel plasma o nelle cellule periferiche del sangue. Di recente, la terapia antiretrovirale è stata accuratamente interrotta in questi individui, senza rimbalzo di viremia HIV. Un follow-up a lungo termine sarà necessario per determinare se si tratta di effettiva guarigione. È comunque evidente che il campo della ricerca nella cura dell'HIV come per le altre patologie oggetto di studio è in rapida evoluzione e saranno probabilmente necessarie strategie innovative con approcci multipli.

In uno studio pubblicato pochi giorni fa sulla rivista Cell Stem Cell, un team di ricercatori di Harvard - guidato da Derrick Rossi e Chad Cowan – ha utilizzato la tecnica CRISPR/Cas9 per  modificare i geni rilevanti ai fini della lotta all'HIV, partendo proprio da cellule provenienti dal paziente stesso: le cellule T, le cellule staminali ematopoietiche e le cellule progenitrici (HSPC), che costituiscono essenzialmente le basi del sistema immunitario.

La modifica viene realizzata attraverso la rimozione della principale "porta d'accesso" sfruttata dal virus HIV per infiltrarsi nelle cellule ospiti, ossia il recettore CCR5. L'utilizzo di guide di un singolo RNA – riferiscono gli Autori dello studio – ha portato a una mutagenesi altamente efficiente nelle HSPC ma non nelle cellule T. Un approccio a doppia guida ha invece migliorato l’efficacia nella delezione del gene in entrambi i tipi di cellule. Le HSPC che avevano subito l’editing del genoma con CRISPR/Cas9 hanno mantenuto un potenziale per generare linee cellulari multiple. I ricercatori hanno esaminato le mutazioni on e off target previste e hanno osservato bassi livelli di mutagenesi fuori bersaglio in un solo sito. Questi risultati, secondo gli Autori, dimostrerebbero che la tecnologia che utilizza CRISPR/Cas9 può produrre un’efficace ablazione di geni nelle cellule HSPC minimizzando la mutagenesi fuori bersaglio. Un risultato che potrebbe trovare ampia applicazione nelle terapie cellulari ematopoietiche, sebbene occorrano ancora almeno cinque anni per la sperimentazione nell’uomo.

Il proliferare di studi in cui si sperimentano correzioni geniche in grado di incidere su diverse patologie ripristinando sequenze corrette e silenziando geni alterati o nocivi, come abbiamo riferito per i casi dell’anemia falciforme e dell’HIV, lascia ampio margine ad orizzonti di cura sempre più ambiziosi, dagli indubbi risvolti etici oltre che economici.

Si pensi, ad esempio, alle strategie mirate a combattere le cause dell’invecchiamento. Attraverso la terapia genica e la creazione di nuovi enzimi si potrebbe intervenire sui meccanismi naturali di riparazione cellulare. Più avanti nel tempo, si potrà ricorrere a tecnologie futuriste come i nanobot[2], minuscoli congegni che, agendo in modo simile ai nostri ribosomi, sarebbero in grado di monitorare il flusso sanguigno eliminando le cellule tumorali e riparando i danni del processo di invecchiamento a livello molecolare e cellulare.

I prossimi anni di ricerca in questo campo ci diranno fino a che punto le scienze integrate applicate alla medicina saranno in grado di incidere sugli stati fisiologici e patologici, rivoluzionando non solo il concetto di terapia ma persino il modo di intendere la salute e la malattia e, in ultima analisi, il significato stesso di “natura umana”.  Per questa rivoluzione non basterà però semplicemente riferirsi a tecnologie abilitanti per quanto sofisticate possano essere quanto, piuttosto, indagare con attenzione sino a che punto potranno spingersi i limiti della nostra intrinseca capacità di modificare il mondo.

Saverio Vasta e Luca Pani



[2] Il futuro della Mente. L’avventura della scienza per capire, migliorare e potenziare il nostro cervello. Michio Kaku, 2014.


Pubblicato il: 12 gennaio 2015

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