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Epatite C: l’eradicazione in un percorso chiaro e progressivo
L’eliminazione delle epatiti virali è una sfida globale, un obiettivo comune a tutti i Paesi del mondo, sollecitati dalla strategia dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che ha individuato ambiziosamente il 2030 come l’anno in cui le morti legate a queste patologie dovranno ridursi sensibilmente, così come il numero dei casi di infezione dovuti ai virus. Stando agli obiettivi enunciati nel documento programmatico dell’OMS [1], che detta le linee strategiche in questo ambito di salute divenuto prepotentemente un’emergenza mondiale ma, allo stesso tempo, – e per fortuna - un traguardo possibile da raggiungere, il “goal” è ridurre dell’80% il tasso di infezione da epatite C e del 65% quello della mortalità dovuta al virus. Tutto questo in poco meno di 20 anni. Il percorso è ben delineato, la meta è certa e frutto di una visione precisa, a sua volta generata dall’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite. Quello che ora è quanto mai necessario è lo sforzo politico per far sì che dalla “visione si passi all’azione”, come ben sintetizza un recente editoriale pubblicato su The Lancet, a commento delle riflessioni emerse nel corso dell’ultimo World Hepatitis Summit tenutosi in Brasile il mese scorso.
Secondo l’OMS sono tre i pilastri che sorreggono lo sviluppo di una copertura sanitaria universale nell’ambito di questa sfida all’epatite: comprendere quali servizi assistenziali sviluppare; come renderli accessibili secondo criteri di equità; individuare modelli innovativi e sostenibili per garantirne adeguata copertura finanziaria. Tre direttive strategiche fondamentali che la lingua inglese restituisce in tre parole semplici e immediate: what, how e financing.
Quest’ultimo aspetto è quello che più ostacola l’offerta di programmi di trattamento in grado di stare al passo con gli obiettivi dell’OMS, cita sempre l’editoriale. Per i Paesi ad alto reddito - tra i quali rientra anche l’Italia che, ricordiamolo, siede al tavolo del G7 e che aderisce ai trattati internazionali che regolano la proprietà intellettuale e dei brevetti - affrontare il prezzo elevato delle terapie di ultima generazione contro l’HCV ha di fatto costretto a introdurre dei criteri di trattamento restrittivi. Questo è stato il caso, ad esempio, degli Stati Uniti o ancora dell’Australia, che solo nel 2016 ha previsto modelli di risk-sharing con le aziende per offrire i nuovi farmaci ad una platea di pazienti più ampia.
In Italia questi passaggi sono stati previsti ben prima e fin da subito è stata ingaggiata con le aziende produttrici dei nuovi farmaci anti-virali ad azione diretta una contrattazione severa per spuntare il prezzo più basso possibile. Il più basso in Europa, in effetti. E questo è stato il primo passo: del resto la strategia dell’OMS non a caso è definita “stepwise”, ovvero graduale, progressiva.
L’articolo evidenzia come certi strumenti per rendere concreto il percorso di eradicazione dell’HCV siano in realtà già disponibili, quello che occorre è una volontà politica forte per affrontare poco a poco il tema della corretta diagnosi, della prevenzione e della definizione di programmi di trattamento sostenibili.
L’impegno politico nel nostro Paese nella lotta all’epatite C è sempre stato chiaro e ingente: non sarebbe stato possibile, altrimenti, vedere istituito un fondo ad hoc per finanziare le terapie anti-HCV e soprattutto farlo rispondendo al principio di equità che solo il nostro servizio solidaristico e universale di assistenza sanitaria riesce a garantire. Il valore della presa in carico del paziente, ciascun singolo paziente, è quello che ha ispirato il cambiamento dei criteri di trattamento lo scorso marzo e che di fatto ha avviato il Piano nazionale di eradicazione da qui ai prossimi tre anni.
Il percorso è lungo, certo. Il tema della corretta diagnosi e quindi della precisa stima epidemiologica dei malati effettivi è oggetto di indagine a ogni latitudine.
Ma non può non colpire come i numeri parlino, per raccontare una storia di piccoli successi quotidiani tutti italiani. L’editoriale del The Lancet cita i 30.000 pazienti trattati in Australia nel 2016 come esempio virtuoso. Nel nostro Paese, grazie anche allo sforzo enorme delle Regioni, sono più di 44.700 i pazienti avviati al trattamento nel solo 2017, sugli oltre 109.400 complessivi dal 2015.
Nessun Paese al mondo è arrivato a trattare un numero di pazienti così alto.
Questo ci incoraggia e ci stimola: da un lato, ad individuare meccanismi di finanziamento strutturali e, dall’altro, a contrattare sempre più per avere cure al giusto prezzo, anche forzando la mano se necessario, a tutela del nostro invidiabile ed unico servizio sanitario nazionale e soprattutto dei pazienti.
Quel che è importante è avere un percorso chiaro, indicatori certi per misurare le distanze e le miglia guadagnate e l’ostinata volontà di andare avanti.
Mario Melazzini
[1] Global Health Sector Strategy On Viral Hepatitis 2016–2021 Towards Ending Viral Hepatitis http://www.who.int/hepatitis/strategy2016-2021/ghss-hep/en/
Pubblicato il: 02 gennaio 2018