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I beta-bloccanti potrebbero non essere efficaci per alcuni pazienti, uno studio su JAMA

Un tipo comune di farmaco per la pressione arteriosa, i cosiddetti beta-bloccanti, non può prevenire attacchi di cuore, ictus o morte, secondo un nuovo studio pubblicato su The Journal of the American Medical Association (JAMA).

Ciò è particolarmente vero per i pazienti a rischio di malattia cardiaca, per i pazienti che hanno malattie cardiache ma che non hanno mai avuto un attacco di cuore, o in pazienti che hanno già avuto un attacco di cuore, hanno aggiunto i ricercatori, guidati dal Dr. Sripal Bangalore, Assistant Professor in Cardiologia presso la New York University School of Medicine.

"Secondo il nostro studio in questo gruppo di pazienti non vi era alcun vantaggio derivante dall’assunzione dei beta-bloccanti", ha affermato Bangalore. Al contrario, in alcuni pazienti, i beta-bloccanti ha aumentato il rischio di un esito negativo, ha aggiunto.
Particolari tipi di pazienti che stavano assumendo quei farmaci avevano un rischio maggiore di morte o di ospedalizzazione per una procedura medica cardiaca. Un gruppo di pazienti, invece, mostravano un rischio inferiore di essere ricoverato in ospedale.

Questi risultati possono essere dovuti in parte alla natura dei beta bloccanti stessi, secondo Bangalore. “Rispetto ad altri farmaci per la pressione sanguigna, i beta-bloccanti sono meno efficaci e non sono considerati trattamenti di prima linea” ha sottolineato Bangalore. “La combinazione di tutti questi elementi può essere responsabile dei risultati negativi", ha affermato.

Bangalore, tuttavia, ritiene che i beta-bloccanti - che includono carvedilolo, propranololo e atenololo - hanno un ruolo nel trattamento degli scompensi cardiaci, del ritmo cardiaco e dell'emicrania. "Questo studio non si è occupato di pazienti con insufficienza cardiaca, nè di pazienti che hanno aritmia o emicrania," ha detto. "Per tutti questi pazienti, i beta-bloccanti sono utili."

L’intenzione degli autori non è di indurre i pazienti ad interrompere l'assunzione di beta-bloccanti, ma piuttosto di incentivare il confronto con il loro medico sulle ragioni per cui li stanno prendendo e portarli a considerare, se necessario, il passaggio a un farmaco alternativo. Per lo studio, il team di Bangalore ha raccolto dati su oltre 44.000 persone che facevano parte di uno studio internazionale e di un registro focalizzato sul rischio per l'arteriosclerosi o indurimento delle arterie.

Tra questi pazienti, più di 14.000 avevano avuto un attacco di cuore, più di 12.000 soffrono di una malattia cardiaca, ma non avevano ancora avuto un attacco di cuore e più di 18.000 presentavano fattori di rischio per le malattie cardiache.
Per quelli affetti da una malattia del cuore o che avevano avuto un attacco di cuore, i ricercatori non hanno trovato alcuna differenza tra quelli trattati con beta-bloccanti e quelli non li prendevano in quanto a decessi, attacchi di cuore o ictus. I tassi di ricovero in ospedale per un intervento chirurgico al cuore, tuttavia, erano più elevati tra coloro che li assumevano.

Tra i pazienti che presentavano fattori di rischio per le malattie cardiache, quelli che assumevano beta-bloccanti erano a più alto rischio di morte o di ricovero in ospedale per un intervento chirurgico al cuore, rispetto a quelli non li prendevano, secondo i ricercatori. In ogni caso non presentavano un rischio maggiore di infarto o ictus. I pazienti che avevano sofferto un attacco di cuore e che stavano assumendo beta-bloccanti erano caratterizzati da un rischio inferiore di essere ricoverati in ospedale, secondo la rilevazione dello studio.

Secondo il Dott. Gregg Fonarow, professore di cardiologia presso l'Università della California, Los Angeles, e portavoce della American Heart Association,  che questo studio non può considerarsi definitivo perché presentava delle limitazioni, e ha aggiunto che la conclusione è in contrasto con i risultati di alcuni studi clinici. "Studi clinici randomizzati hanno dimostrato che i beta-bloccanti riducono notevolmente la mortalità e prevengono le recidive nei pazienti che hanno subito un attacco di cuore e in quelli con scompenso cardiaco", ha affermato.

I beta-bloccanti sono stati meno studiati in pazienti con malattia coronarica stabile e in quelli con fattori di rischio per la malattia coronarica in termini di effetti sull’infarto e sulla morte, ha detto ancora Fonarow. “Questo nuovo studio osservazionale” secondo il Dr. Fonarow “non ha concluso che l'uso di beta-bloccanti è associato a migliori risultati, tuttavia il registro utilizzato non è stato progettato per valutare il ruolo dei beta-bloccanti e dei dati vitali tra cui la pressione arteriosa, la frequenza cardiaca, le controindicazioni e l'intolleranza ai beta-bloccanti. A seguito di queste limitazioni, questi risultati aggiungono poco alle prove in corso," ha concluso Fonarow concluso. "I beta-bloccanti continuano ad essere raccomandati nelle linee guida e devono continuare ad essere prescritti per i pazienti a lungo termine dopo un attacco di cuore."

Leggi lo studio su JAMA


Pubblicato il: 14 novembre 2012

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