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L'uso a lungo termine di una classe di psicofarmaci potrebbe essere collegato al morbo di Alzheimer - L'uso a lungo termine di una classe di psicofarmaci potrebbe essere collegato al morbo di Alzheimer

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L'uso a lungo termine di una classe di psicofarmaci potrebbe essere collegato al morbo di Alzheimer

Il trattamento deve rispettare le linee guida della buona pratica ed essere il più breve possibile, dicono i ricercatori.

L’uso di benzodiazepine, una categoria di farmaci utilizzati per trattare ansia ed insonnia potrebbe essere associato ad un maggior rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer, in particolare per i pazienti che sono trattati con questi farmaci in maniera prolungata. Questa è l’avvertenza evidenziata da uno studio pubblicato sul BritishMedical Journal.

La demenza colpisce attualmente circa 36 milioni di persone in tutto il mondo e questo numero è destinato a raddoppiare ogni 20 anni, raggiungendo 115 milioni entro il 2015.

Nonostante la ricerca abbia riportato la possibilità dell’ aumento del rischio di demenza per i pazienti che fanno un uso prolungato di benzodiazepine, rimane da capire se la natura di questa associazione, sia causale o meno.

Per questo un team di ricercatori in Francia e Canada ha approfondito con uno studio dedicato.

Utilizzando i dati prelevati dal database del programma di assicurazione sanitaria del Quebec (RAMQ), hanno rintracciato lo sviluppo della malattia di Alzheimer in un campione di anziani residenti in Quebec, che erano stati trattati con  benzodiazepine.

I ricercatori hanno 1.796 casi di malattia di Alzheimer idonei per lo studio, con follow up pari ad almeno sei anni (con un massimo di 10 anni). Hanno poi confrontato ogni caso con 7184 persone sane abbinate per età, sesso e durata del follow-up.

I risultati mostrano che l'uso di benzodiazepine per tre mesi o più è stato associato ad un aumento del rischio (fino al 51%) di insorgenza della malattia di Alzheimer. La forza dell'associazione è aumentata in corrispondenza di una esposizione più lunga e con l'uso di benzodiazepine a lunga azione piuttosto che di quelle a breve durata d'azione.

Ulteriori aggiustamenti per i sintomi che potrebbero indicare l'inizio di demenza, come i disturbi d'ansia, depressione o di sonno, non hanno alterato significativamente i risultati.

“In questo ampio studio, l'uso di benzodiazepine è stato associato ad un aumentato rischio di malattia di Alzheimer” affermano gli autori. Gli stessi sottolineano che “la natura del legame non è ancora definitiva, ma sostengono che l'associazione più forte verificatasi con esposizioni a lungo termine "rafforza il sospetto di una possibile associazione diretta, anche se l'uso di benzodiazepine potrebbe anche essere un marker precoce di una condizione associata a un aumento del rischio di demenza. "

I Ricercatori affermano che le benzodiazepine sono "strumenti indiscutibilmente preziosi per la gestione dei disturbi d'ansia e insonnia transitoria" ma avvertono che i trattamenti "dovrebbero essere di breve durata e non superiori a tre mesi".

L’equipe di ricerca conclude che i risultati sono di "grande importanza per la salute pubblica, soprattutto considerando la prevalenza e la cronicità dell’uso di benzodiazepine nella popolazione anziana e l'elevata e crescente incidenza di demenza nei paesi sviluppati".

“Basandosi sulle evidenze”concludono "è ora fondamentale incoraggiare i medici a prestare maggiore attenzione al profilo beneficio/rischio  quando si inizia o si rinnova un trattamento con benzodiazepine e prodotti correlati in pazienti anziani".

In un editoriale di accompagnamento, il Prof. Kristine Yaffe della University of California a San Francisco e il  Prof. MalazBoustani della Indiana University Center for AgingResearch, sottolineano che nel 2012 l'American Geriatrics Society ha aggiornato la sua lista di farmaci inappropriati per gli anziani includendo le benzodiazepine , proprio a causa dei loro effetti collaterali sul sistema cognitivo.

Eppure dall’editoriale si evince che quasi il 50% degli adulti anziani continua ad usare questi farmaci.

In conclusione l’Editoriale insiste sulla necessità di colmare la lacuna esistente caratterizzata da numeri sempre più in aumento di anziani trattati con più farmaci contemporaneamente e/o che sono a rischio di malattia di Alzheimer.

Leggi lo studio sul BMJ

Approfondisci l’editoriale di accompagnamento


Pubblicato il: 16 settembre 2014

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