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Studio pubblicato su JAMA conferma l’efficacia del trapianto di microbiota fecale nel trattamento delle infezioni da Clostridium Difficile - Studio pubblicato su JAMA conferma l’efficacia del trapianto di microbiota fecale nel trattamento delle infezioni da Clostridium Difficile
Studio pubblicato su JAMA conferma l’efficacia del trapianto di microbiota fecale nel trattamento delle infezioni da Clostridium Difficile
Gli antibiotici sono tra i farmaci più prescritti in Europa. È ormai riconosciuto che l’utilizzo eccessivo e inappropriato degli antibiotici è il fattore determinante che ha portato a un vasto e rapido sviluppo di ceppi di batteri resistenti a questa classe di farmaci, che rende difficile il trattamento di una gamma sempre più ampia di infezioni abbastanza comuni e facili da contrarre. Il crescente sviluppo della resistenza antimicrobica da parte dei più comuni agenti patogeni rappresenta oggi una minaccia reale per la salute pubblica a livello globale.
Secondo la redazione di Medscape una delle tre principali minacce microbiche negli Stati Uniti è l’infezione da Clostridium Difficile (CDI) che, stando a un recente studio dei Centers for Disease Control and Prevention, si stima essere all’origine di 250.000 casi e 14.000 decessi annuali, proprio a causa di una prevalenza sempre maggiore di casi d’infezione da ceppi resistenti agli antibiotici.
L'assunzione prolungata di antibiotici è la condizione predisponente principale per lo sviluppo di infezioni da CDI. Quando si assumono antibiotici, i batteri benefici presenti nel colon, che proteggono contro le infezioni, possono essere alterati o eliminati per diverse settimane o mesi, consentendo così ai batteri “pericolosi” – come il Clostridium D. – di moltiplicarsi senza controllo.
Si tratta di un’infezione grave e sempre più estesa a livello internazionale che comporta dolori addominali, nausea, febbre, diarrea e, spesso, può essere fatale. A volte l’infezione da CDI può essere trattata interrompendo la cura antibiotica in corso e con il passaggio ad altri tipi di antibiotici. Ma, come per molti altri batteri, anche diversi ceppi di CDI hanno sviluppato delle antibiotico-resistenze, o sono associati a un’elevata frequenza di recidive, che compaiono in un’importante percentuale di casi nei pazienti ricoverati, seppure trattati correttamente.
La sfida è quindi trovare un modo sicuro ed efficace per trattare l’infezione in maniera accettabile per i pazienti, evitando procedure invasive, come ad esempio colonscopie e tubi nasogastrici.
Già da qualche anno si è visto un aumento dell’accettazione e dell'utilizzo del trapianto di microbiota fecale per il trattamento dell’infezione da CDI grave o recidivante, ma gli ostacoli pratici e problemi di sicurezza hanno impedito la diffusione di questo tipo di trattamento.
Alcuni ricercatori del Massachusetts General Hospital di Boston hanno testato con successo un nuovo tipo di strategia: hanno purificato campioni di feci di donatori in buona salute, in modo da aumentare la concentrazione di batteri buoni, incapsulato i campioni, e poi congelato le capsule.
I ricercatori guidati da Ilan Youngster e Elizabeth Hohmann, entrambi specialisti di malattie infettive, hanno testato queste pillole congelate su 20 pazienti volontari che avevano contratto almeno tre infezioni da CDI, di cui almeno due episodi gravi tali da richiedere il ricovero ospedaliero, che non hanno risposto al trattamento antibiotico – da 6 a 8 settimane - con vancomicina, l’antibiotico generalmente utilizzato per debellare questo tipo di batterio.
Nel trial, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista JAMA, ai pazienti, di età compresa tra 11 e 89 anni, sono state somministrate 15 capsule per due giorni consecutivi e sono stati osservati fino a un massimo di 6 mesi. Dopo la prima somministrazione del trattamento, 14 dei 20 pazienti arruolati, hanno iniziato a sentirsi meglio e i loro frequenti attacchi di diarrea sono cessati, e non è stata osservata la comparsa di recidive dopo otto settimane. Gli altri sei pazienti, che non avevano risposto alla prima serie di pillole, hanno ricevuto un secondo trattamento una settimana più tardi. La somministrazione della seconda serie di capsule si è dimostrata un trattamento di successo per 4 pazienti su 6, con l’interruzione degli attacchi di diarrea. Complessivamente, il 90% dei pazienti trattati ha risposto con successo alla terapia.
Ai pazienti coinvolti nella sperimentazione sono stati anche somministrati dei questionari di auto-valutazione, che prevedevano una scala di misurazione da 1 a 10. I pazienti hanno riportato un punteggio pari a 5 (di media) per quel che riguarda un miglioramento significativo della salute generale e di 4,5 per la salute gastrointestinale.
Si tratta di un risultato importante anche alla luce del fatto che non sono stati osservati eventi avversi gravi, anche in quei pazienti che sono stati sottoposti a due cicli di trattamento.
I ricercatori hanno dichiarato che un giorno potrebbe essere possibile coltivare queste batteri “benefici” in laboratorio piuttosto che prelevarli da campioni di feci. Nel frattempo, sarà necessario condurre ulteriori sperimentazioni per confermare i risultati ottenuti e per valutare la sicurezza e l’efficacia a lungo termine di questo tipo di trattamento.
"Utilizzando campioni congelati, è possibile selezionare in maniera accurata i donatori prima del tempo e istituire una “banca delle feci” pronta all’uso immediatamente e senza preavviso", ha spiegato l'autore dello studio Ilan Youngster, medico presso il Massachusetts General Hospital di Boston.
Se così fosse, questo innovativo approccio terapeutico può avere un grande potenziale per il trattamento di una larga serie di altre patologie gastrointestinali in cui il microbiota è compromesso e non funziona correttamente.
Pubblicato il: 22 dicembre 2014