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Utilizzo di inibitori della pompa protonica e rischio di infarto miocardico nella popolazione generale

Alcuni ricercatori statunitensi dell’Università di Stanford e dello Houston Methodist Research Institute hanno indagato la possibile associazione tra eventi cardiaci acuti, tra cui l’infarto del miocardio (anche in soggetti che non presentavano precedente storia di eventi cardiovascolari gravi) e l’assunzione di inibitori di pompa protonica (PPI), largamente impiegati per il trattamento a lungo termine della malattia da reflusso gastroesofageo. Utilizzando la tecnica del data-mining gli autori dello studio, pubblicato lo scorso 10 giugno su Plos One, hanno analizzato 16 milioni di informazioni cliniche (relative a 2,9 milioni di pazienti) estratte da diversi database, coprendo un arco temporale complessivo di quasi 20 anni (dal 1994 al 2012).

I risultati della ricerca hanno evidenziato un aumento del 16% di eventi cardiaci avversi collegati all’impiego degli inibitori di pompa protonica, associazione che non si evidenzia invece con l’utilizzo degli anti-H2.
“Coerentemente con i risultati pre-clinici in nostro possesso – commentano i ricercatori – che evidenziavano come i PPI influenzino negativamente la funzione vascolare, il nostro studio ribadisce l'associazione tra l’esposizione ai PPI e il rischio di infarto miocardico nella popolazione generale. Questi dati forniscono un esempio di come una combinazione di studi sperimentali e approcci di data-mining possono essere applicati per sfruttare i segnali di sicurezza dei farmaci per ulteriori indagini.”

Lo studio presenta alcune limitazioni: prima fra tutte la possibilità che i pazienti in trattamento con gli inibitori di pompa protonica soffrissero già di altre patologie e che questi medicinali fossero prescritti confondendo i sintomi dell’angina pectoris con quelli del reflusso gastroesofageo.

Tuttavia, la ricerca evidenzia dei rischi per la salute associati all’uso prolungato di tali medicinali, benché sia ancora prematuro, data la necessità di ulteriori studi, ricorrere alla modifica dell’attuale pratica clinica.

Leggi lo studio su Plos One


Pubblicato il: 22 giugno 2015

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