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Diagnosi e trattamento del Clostridium difficile negli adulti. Una revisione sistematica

Un team di ricercatori di Università e Istituti di ricerca del Michigan ha condotto una revisione sistematica delle attuali evidenze sulle migliori pratiche per la diagnosi e il trattamento delle infezioni da Clostridium difficile (CDI) negli adulti (età ≥18 anni). I risultati dello studio sono stati pubblicati su JAMA (The Journal of The American Medical Assosiation).

Dal 2000, l'incidenza e la gravità delle infezioni da Clostridium difficile (CDI) sono aumentate. I ricercatori hanno condotto la ricerca sui database Ovid MEDLINE e Cochrane utilizzando parole chiave rilevanti per la diagnosi e il trattamento delle CDI negli adulti. Hanno selezionato per l'inclusione gli articoli pubblicati tra il gennaio 1978 e il 31 ottobre 2014, sulla base di ricerche di parole chiave mirate, le revisioni manuali di bibliografie, e se l'articolo era una linea guida, le revisioni sistematiche o meta-analisi pubblicate negli ultimi 10 anni. Di 4682 articoli inizialmente identificati, 196 sono stati selezionati per la revisione completa. Di questi, sono stati inclusi i 116 articoli più pertinenti. Nel processo di selezione è stata data priorità a studi clinici, grandi studi osservazionali e articoli recenti.

I test di laboratorio non possono distinguere tra colonizzazione asintomatica e infezione sintomatica con C difficile – scrivono gli Autori su JAMA. Gli approcci diagnostici sono complessi per la disponibilità di strategie di test multiple. Dalla revisione sistematica è emerso che gli algoritmi multi-step che utilizzano la reazione a catena della polimerasi (PCR) per il gene della tossina o quelli a step singolo su campioni di feci liquide hanno le migliori caratteristiche di performance (per il multistep: la sensibilità e la specificità erano 0,68-1,00 era 0,92-1,00 e per lo step unico: la sensibilità e la specificità erano 0,86-0,92 era 0,94-0,97). “Vancomicina e metronidazolo – proseguono gli Autori – sono risultate le terapie di prima linea per la maggior parte dei pazienti, anche se sono stati associati fallimenti del trattamento con il metronidazolo in casi gravi o complicati di CDI. Dati recenti dimostrano tassi di successo clinico del 66,3% per il metronidazolo vs 78,5% per vancomicina per CDI grave. Terapie più recenti mostrano risultati promettenti, tra cui fidaxomicina (tassi di guarigione clinica simili alla vancomicina, con tassi più bassi di ricorrenza per fidaxomicina, 15,4% vs 25,3%, vancomicina; P = .005) e trapianto di microbiota fecale (tassi di risposta del 83% -94% per CDI ricorrente)”.  

I test diagnostici per la CDI – concludono gli Autori dello studio – dovrebbero essere eseguiti solo in pazienti sintomatici. Le strategie terapeutiche dovrebbero essere basate sulla gravità della malattia, sulla storia di precedenti CDI e sul rischio di recidiva del singolo paziente. Vancomicina è il trattamento di scelta per CDI grave o complicata, con o senza terapie aggiuntive. Metronidazolo è appropriato per la malattia lieve. Fidaxomicina è un’opzione terapeutica per i pazienti con CDI recidiva o ad alto rischio di recidiva. Il trapianto di microbiota fecale è associato con la risoluzione dei sintomi di CDI recidiva, ma il suo ruolo nella CDI primaria e grave non è stabilito”.

Per leggere lo studio e approfondire le informazioni sugli Autori vai su JAMA


Pubblicato il: 02 febbraio 2015

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